Autorevolezza
Autorevolezza.
L’autorità sbiadisce quando appare l’identificazione.
Il rischio è che questa impotenza si tramuti in prepotenza.
Autorevolezza.
L’autorità sbiadisce quando appare l’identificazione.
Il rischio è che questa impotenza si tramuti in prepotenza.
Il tema della gelosia ha portato ad interrogarsi sull’amore, differenziandolo dall’innamoramento.
Uno stretto intreccio lega il desiderio amoroso al desiderio di potere sull’altro e l’innamoramento è la rappresentazione della confusione dell’uno con l’altro.
L’idealizzazione dell’autosufficienza apre la porta alla psicosi (nevrosi narcisistiche di Freud ).
Tutta altra opportunità offre invece l’autorizzarsi che apre la porta all’altro.
E’ noto che per l’essere umano è necessario istituire un legame con l’altro.
Dal lavoro di una recente seduta del gruppo di Psicodramma Freudiano si è potuto verificare che nell’avvicinarsi l’uno all’altro si inciampa nella problematicità della scelta di genere ….
Nella specifica situazione da noi osservata si è potuto assistere alla scelta per “omo-filia” come tentativo di difesa dal pericolo del Narcisismo.
Lasciare o essere lasciati.
Non è tanto se è preferibile scegliere di “lasciare” piuttosto che di “essere lasciati” in una relazione amorosa.
In realtà, si tratta, il più delle volte, di individuare che cosa, piuttosto di chi, deve essere lasciato.
In una osservazione recente, è stato palese dal lavoro del gruppo, che ciò che era in questione, era la necessità di desistere da una teoria che confonde l’amore con l’innamoramento.
Questa parola è sortita durante una seduta di lavoro in gruppo. Grazie ai partecipanti, attraverso la pratica dello psicodramma freudiano, si è potuto constatare come questo sentimento non esista nell’uomo (e neppure nel mondo animale).
Esiste, tuttavia, la violenza e la rivalità, che sono un derivato dell’odio. Odio per l’altro. Questo ha la sua origine nell’invidia: l’altro è più fortunato perché non è mancante di nulla.
Una soluzione nevrotica e, pertanto, ubiquitaria, è che la “mancanza” da cui ci si sente afflitti scomparirebbe se si possedesse l’oggetto in grado di colmarne la beanza.
Lacan suggerisce che questo oggetto è il “fallo”.
Nella vita, capita di passare dalla tragedia al sorriso, quando si riconosce ed accetta il limite personale e quello altrui.
Ma più frequentemente, senza rendersene conto, dalla tragedia si passa alla commedia, recitando un ruolo, semplicemente per non perdere il rapporto con gli altri
Altra soluzione più inquietante è quella di non accettare la commedia, ma di passare alla farsa…
Lo Psicodramma è una invenzione di J. L. Moreno. Si tratta di una pratica simile al teatro.
“Teatro della spontaneità” è la prima definizione che Moreno coniò per le sue esperienze di questo “teatro” nei giardini di Vienna.
Il termine psicoterapia di gruppo compare qualche anno dopo, nel 1914; per tutta la vita Moreno elaborò la sua invenzione, che è stata ripresa da altri con varianti e modifiche, ove la rappresentazione teatrale attinge a vicende della vita dei partecipanti a questi gruppi con intenti genericamente terapeutici derivanti da effetti catartici in qualche maniera fonte di sollievo e di liberazione. La parola terapia meriterebbe delle precisazioni che nell’economia di questa presentazione scelgo di rimandare ad una eventuale discussione anche se non potrò fare a meno di farne alcuni cenni.
Negli anni 70 due coniugi francesi, psicoanalisti, che seguivano a Parigi l’insegnamento di J. Lacan, adottarono il modello di rappresentazione dello Psicodramma alla luce delle scoperte freudiane e del “ritorno a Freud” sostenuto dalla elaborazione di J. Lacan.
Veniva istituita di fatto una pratica psicoterapeutica originale che differisce radicalmente dallo psicodramma di J. L. Moreno. Rimane in comune la modalità della rappresentazione che è intesa in modo diverso. Nello Psicodramma freudiano l’aspetto catartico (liberatorio) è ritenuto secondario e il termine stesso rappresentazione viene sostituito con quello di “gioco”.
Una domanda che di solito ci viene posta riguarda il motivo per il quale definiamo lo Psicodramma di cui vi parlo “Freudiano”.
La risposta è: perché chi pratica questo psicodramma è freudiano.
Si tratta a questo punto di intenderci su questa parola.
Freudiano è chi si è convinto della esistenza di “Inconscio” e “Pulsione”; sono due termini fondativi che caratterizzano il lavoro originale di Freud e non si possono ricondurre a nessun altro lessico. Detto in altro modo è freudiano chi riconosce che l’uomo ha la competenza di distinguere una esperienza di piacere da una di dispiacere e di riconoscere che l’eccitamento per muoversi verso la meta della soddisfazione proviene dall’esterno ed ha che fare con la relazione con un altro.
Il dispositivo freudiano del divano e della poltrona, con la regola per il paziente di parlare senza omettere e senza sistematizzare i suoi pensieri e con il corrispettivo per l’analista di ascoltare con attenzione fluttuante, ha lo scopo di creare delle condizioni favorevoli perché accada che le capacità originarie, di cui ho detto, si riattivino.
Lo Psicodramma freudiano ha il medesimo intento avvalendosi di un dispositivo totalmente diverso rispetto alla psicoanalisi. I pazienti sono un piccolo gruppo, non c’è un solo terapeuta ma due che si alternano di seduta in seduta nelle funzioni di animatore e di osservatore. I pazienti accettano di essere disponibili a parlare, quindi a relazionarsi tra loro, anche con la modalità del “gioco”. Che è una azione, come del resto il parlare, ma che è inserita all’interno di un patto stabilito tra ciascun paziente e uno dei terapeuti nel corso di uno o più colloqui preliminari.
La constatazione dalla quale si muove il terapeuta freudiano è che l’inconscio di ciascuno è il vero terapeuta. Allo stesso tempo ciascuno è abitato da istanze ideali che contrastano fino a sostituire il lavoro dell’inconscio. Questo lavoro consiste, fra l’altro, nel predisporre uno spazio, un posto, per un altro soggetto per verificare la possibilità di una relazione soddisfacente per entrambi. E’ questa una definizione parziale, ma importante, del concetto freudiano di transfert.
L’inconscio freudiano è dunque un pensiero, una memoria, della soddisfazione che segue ad un eccitamento, una chiamata, che proviene dall’esterno. Ciascuno si può trovare nella posizione di essere eccitato o in quella di eccitare un altro anche se non va da se che questa eccitazione si concluda in modo soddisfacente. Non va da se perché purtroppo nessuno è esente dalla psicopatologia che può arrivare ad una fissità tale da configurare quelle che conosciamo come nevrosi, perversioni e psicosi.
Ho anche fatto dei cenni al dispositivo dello Psicodramma freudiano, sul quale tornerò.
Un aspetto che volevo precisare è che il dispositivo dello psicodramma ha anche la caratteristica di essere, come mi piace ripetere, estremamente duttile e malleabile. Si presta, infatti, ad essere usato proficuamente anche con finalità diverse da quelle propriamente terapeutiche.
Mi limiterò ad elencarne alcune delle più sperimentate:
– con i bambini che non sono in grado di fare una domanda di cura,
– con gli adolescenti che spesso non domandano una cura ma palesano un disagio con comportamenti che allarmano la famiglia o il sociale e sono avvertiti soggettivamente, almeno in parte, come ego distonici,
– con pazienti adulti che non formulano una domanda di analisi, o che temono una relazione terapeutica individuale, o che sono rimasti delusi da una precedente terapia,
– con psicoterapeuti, anche di indirizzo teorico diverso da quello freudiano, come modalità di supervisione del loro lavoro professionale,
– con operatori che svolgono una delle “professioni di aiuto”, o professionisti per i quali le relazioni interpersonali rivestono particolare importanza.
– …altre applicazioni.
Usi molteplici ma con il medesimo intento di stimolare il pensiero e aprire un spazio per pensieri nuovi. Freudianamente sono i pensieri, le teorie, le visioni del mondo che stanno a monte della psicopatologia.
I gruppi di psicodramma sono aperti, l’entrata e l’uscita dal gruppo è libera; ha come sola condizione: la disponibilità a parlarne con uno dei terapeuti.
Il gruppo di psicodramma, come istituzione, è virtualmente eterno.
C’è voluto Freud per evidenziare che la maggiore parte dei disordini psicopatologici non seguono la legge causa effetto come avviene per le malattie di competenza medica. Piuttosto si tratta della distinzione tra vero o menzogna.
Di conseguenza Freud ha parlato di scelta della psicopatologia.
Ora se si tratta di scelta la eziologia, la terapia e la guarigione assumono connotazioni diverse rispetto al campo della medicina scientifica. Sopratutto decade la modalità di intervento medico. Questo è transitivo, vale dire che l’azione terapeutica è decisa e attuata dal medico e il paziente può solo accettarla o rifiutarla.
La psicoanalisi nasce proprio dalla rinuncia a questa modalità di intervento rovesciando la prospettiva e mettendo il paziente, o meglio il suo inconscio, a svolgere il lavoro terapeutico. Non da solo (non c’è autoanalisi) ma in relazione con un altro.
Rimane dunque nella psicopatologia, intesa freudianamente, il concetto di malattia (qualcosa disturba, non va) e quello di guarigione (le cose vanno meglio). E’ il concetto di terapia che è originale perché si basa sul lavoro di pensiero, di elaborazione, del paziente che scaturisce perché reso possibile dalle condizioni della relazione. Il curante assume la posizione di ascolto in un certo modo passiva, meglio recettiva, in ogni caso è il paziente che è messo al lavoro.
Nel gruppo di Psicodramma freudiano ci sono relazioni fra i pazienti, come in altre terapie di gruppo, queste relazioni grazie al “gioco” passano in un altro registro rispetto alle dinamiche di gruppo. Compito degli psicodrammatisti è fare si che la rappresentazione non si esaurisca nel produrre un effetto catartico, come in altre forme di psicodramma, ma induca una elaborazione.
Detto questo vi sarà più agevole riconoscere che la relazione su di caso clinico trattato secondo l’ottica freudiana è pressoché impossibile. E’ sempre parziale, a volte fuorviante, spesso ingiusta se non offensiva per il paziente facendo perdere di vista l’assunto freudiano che sostiene che il paziente ha pure le sue ragioni anche se parte da un errore, nel quale è stato indotto, e che non è in grado di correggere da solo. Queste difficoltà sono ancora maggiori quando si tratta di parlare di un paziente curato in gruppo. Occasione per precisare che lo Psicodramma freudiano non è una terapia di gruppo ma in gruppo, forse sarebbe più preciso dire in un collettivo.
Quello che può essere maggiormente significativo per farvi una idea sullo Psicodramma freudiano è che vi parli sinteticamente di una seduta.
In ogni seduta di psicodramma si creano delle condizioni grazie alle quali ogni partecipante ha l’opportunità di cominciare a guarire. Guarire nel senso di distinguere quali dei suoi pensieri, che sono quelli che determinano le proprie azioni, sono sani e quelli che sono ammalati. O in termini diversi quali pensieri sono vantaggiosi e quali svantaggiosi.
(A) – Anna (una giovane donna, con una causa in corso di separazione dal marito) riferisce di sentirsi finalmente più libera nel suo agire avendo meno timore del giudizio degli altri.
(B) – Beatrice (un altra giovane donna sposata) racconta di un incontro con una donna importante che le comunica di non potere rispettare un impegno, preso con lei già da tempo, ed estremamente significativo in questo momento della propria vita. Viene giocato questo incontro ed è scelta Anna nella parte della donna importante.
Commenti: non ostante le ragionevoli giustificazioni della antagonista per la sua indisponibilità per forza maggiore, Beatrice in pratica lascia perdere. Come nella realtà perché se avesse parlato avrebbe aggredito la donna importante, perdendo la testa.
Anna, che aveva parlato per prima e che aveva giocato la parte della persona importante, precisa che questa sua libertà l’ha sperimentata anche in due episodi recenti: una occasione e stata quella di una telefonata con la madre che continuava a rimproverarla di non averle risposto al telefono. In un’ altra occasione è rimproverata dal padre per un suo breve ritardo ad un appuntamento, alla presenza della madre.
Anna commenta che in entrambe le situazioni è stata in grado di rispondere alle accuse senza trascendere e con tranquillità.
Giocando il primo episodio con la madre Anna sceglie Beatrice nei panni della madre. Beatrice interpreta la parte in modo misurato senza essere troppo insistente o aggressiva. Viene fatto il cambio di ruolo e Anna, nei panni della propria madre, è furiosa e allo stesso tempo molto compiaciuta (effetto catartico) di come è avvenuta la scena.
Nel secondo episodio, sempre con Anna protagonista, viene scelta come madre
(C) – Carla, (una donna che si lamenta spesso della sua mancanza di rapporti soddisfacenti) e
(D) – Dario, (uomo con un matrimonio alle spalle, che attualmente sta portando avanti un nuovo legame sentimentale) nella parte del padre.
In questo secondo gioco, Dario non è molto convincente nel rimproverare la figlia. Motiva questo con il fatto che ha lui capita spesso di essere in ritardo negli appuntamenti, anche nel venire al gruppo. Inoltre per giustificare il suo rimprovero alla figlia, cosa che non era nel copione, dice “…è tua madre che si preoccupa”..
Carla, nella parte di madre e di moglie non ha trovato spazio per intervenire (come le succede spesso nella sua vita).
Anche lei si è sentita toccata dal tema del ritardo. Pensa che ormai tutta la sua vita è fuori tempo massimo e si propone di lasciare presto il gruppo di terapia delusa e rassegnata (altra accezione del lasciare perdere, in questo caso sinonimo di rassegnarsi). Aggiunge che avendo avuto notizia dalla università che sarebbe ancora in tempo a riprendere gli studi ha deciso di provarci ma con l’idea che non servirà a niente e che una università che fa una proposta del genere si è già squalificata.
Dice poi, in modo vago, che aveva avuto difficoltà a terminare degli studi precedenti per via di un “timore reverenziale” verso un professore. Si preciserà, cosa che Carla non aveva detto chiaramente, e che altri nel gruppo non sapevano, che ha già una laurea (che ha una attinenza marginale nel lavoro attuale). Gli studi di cui parla riguardano una seconda laurea che gli sarebbe utile per una migliore qualificazione nel suo lavoro e per avere dei benefici concreti.
SPUNTI DI RIFLESSIONE sullo psicodramma
Il tema della libertà è introdotto da Anna e ripreso nella forma di lasciare perdere da Beatrice ove si è visto che il lasciare perdere derivava per lei dal pensiero che altrimenti avrebbe perso la testa.
Lo stesso tema è stato poi ripreso dai due giochi di Anna con la madre e poi con la madre e il padre con la connotazione che per lei lasciare perdere è un fatto di opportunità che compie tranquillamente. Nel cambio di ruolo, nei panni della madre, si evidenzia però il compiacimento d Anna nell’identificarsi con la componente rabbiosa della madre.
Dario riprende e fa suo un altro tema, quello del ritardo nell’appuntamento con l’altro.
Tema che grazie alla ulteriore ripresa da parte di Carla, che lo collega al professore per il quale aveva un timore reverenziale, permette di individuare che il tema iniziale della libertà, che non può che interessare tutti, ha per ciascuno un ostacolo incontrato nella propria storia.
C’è stato un personaggio che incute timore, o addirittura un terrore, che abbiamo messo dentro di noi, quasi fosse un dio oscuro, al quale siamo disposti ad offrire il sacrificio della nostra libertà. Cioè la nostra competenza a formulare un giudizio.
Non è trascurabile prendere in considerazione che è proprio questo grande Altro quello che ci complica la vita nell’incontrare o nel ritardare incontri soddisfacenti con altri in carne ed ossa. Inducendoci a reiterare incontri insoddisfacenti che finiscono per confermare idee del tipo è una cosa più forte di me.
Questo grande Altro può essere idealizzato come terrifico ma ha gli stessi effetti anche se è idealizzato come amoroso (innamoramento) e in questo caso è ancora più pericoloso perché il terrore persiste nella forma di perdere il suo amore.
Dunque quello da cui liberarsi è in realtà una entità che costruiamo noi, una idea, che impedisce il nostro giudizio quanto agli altri concreti che incontriamo correndo il rischio di rassegnarci a sottometterci a questo Altro grande pensando che sia un dio o il destino, o la genetica, o “sono fatto così”.
In ogni caso la seduta di psicodramma che vi ho sommariamente descritto dimostra che si è svolto un lavoro di elaborazione di pensieri grazie al contributo di tutti e con la possibilità che tutti possono, secondo i tempi di ciascuno, trarre un profitto personale. E’ questo un lavoro di civiltà, come si è espresso Freud per la cura da lui inventata. Credo sia da intendere che se il lavoro di ciascuno produce profitto per tutti allora è civiltà.
Concludo ringraziando A, B, C, D, i pazienti di cui vi ho oggi parlato, e tutti gli altri pazienti che ho incontrato per avermi permesso di continuare a toccare con mano ogni giorno con lo psicodramma la verità che Freud ha scoperto.
In particolare ringrazio quelli che dimostrano di non volere cedere sul loro desiderio di libertà di pensiero, o che è lo stesso nel loro desiderio di guarire. Anche se siamo sempre esposti a scivolare in una accezione di libertà come di liberarsi da qualche cosa piuttosto che essere liberi di pensare e fare qualsiasi cosa che tenga comunque conto del desiderio dell’altro con cui abbiamo concretamente a che fare.
L’alternativa che incontriamo quotidianamente è proprio questa.
Mi libero di un peso, così ottengo una sedazione dalla angoscia, o trovo il coraggio di essere libero di andare per la mia strada?
Non è possibile guarirsi dalla propria psicopatologia una volta per sempre ma è possibile cominciare a guarirsi e continuare su questa strada riconquistando la nostra capacità originaria di distinguere un beneficio da un danno.
Per ottenere questo è necessaria una esperienza concreta che consenta di toccare con mano questa verità.
Lo Psicodramma freudiano grazie al “gioco” e alla formazione freudiana degli psicodrammatisti fornisce gli elementi per optare in modo responsabile, e quindi meno sintomatico, sulle scelte di come orientare la nostra vita.
Dr. Giorgio Tonelli